Era una giornata tipicamente invernale del 1972, fredda ed umida, col cielo grigio che minacciava pioggia ma per me era un giorno molto speciale che prescindeva dal meteo: la sera precedente, dopo aver superato le resistenze dei miei genitori e aver lavorato come standista alla Fiera del Levante per racimolare le circa 200.000 lire occorrenti, avevo coronato il sogno più ambizioso per un quattordicenne ritirando la prima moto dal concessionario. Parcheggiandola nel garage di casa la guardavo come si fa con un gioiello raro e prezioso, il casco “JET” giallo spiccava un po’ troppo sul serbatoio non solo per il colore ma anche per le dimensioni, corrette ma pur sempre grandi rispetto al mezzo; inoltre non potevo proprio evitare di usarlo, innanzitutto perché era bellissimo ed importante e poi perché lo aveva regalato mia sorella non appena saputa la notizia dell’acquisto! La mattina successiva quindi, non ero nella pelle pur di utilizzare la scintillante cavalcatura bianca e rossa con il largo manubrio da cross e le ruote tassellate che mi facevano immaginare tante avventure entro e fuori strada. Indossai i jeans con le scarpe da ginnastica, afferrai un paio di guanti di pelle di mio padre, infilai la giacca a vento con cui andavo a scuola e scesi di corsa in garage: la moto era lì ad aspettarmi per il primo vero giro! Tranne il tragitto dal concessionario a casa, non avevo mai guidato una vera moto con 4 marce e quindi molto più scattante dei motorini monomarcia usati sin lì. Salii la rampa in silenzio, appena fuori avviai il motore e mi soffermai ad ascoltarne il tintinnio con quell’odore tipico di miscela che mi è rimasto favorevolmente impresso in memoria, ingranai, diedi gas e … e il motore si spense perché non avevo saputo coordinare i movimenti acceleratore, frizione…! Mi guardai intorno, per fortuna non c’era nessuno: una brutta figura evitata: “sai quanto scherno con quel casco enorme, la visiera scura e la moto da cross che non parte…”. Mi concentrai, trovai il folle quasi con disinvoltura, diedi un colpo alla pedivella e il motore si riavviò (pensai che si era spento per il freddo…). Come un pilota sul nastro di partenza, mi concentrai, ripassai velocemente le lezioni di mio zio, esperto motociclista: “piazzati bene sulla moto, tira la frizione, ingrana la prima e rilascia la frizione lentamente con un soffio di gas…!”. “…un soffio di gas…? Ma cosa vuol dire un soffio di gas? Questo acceleratore appena lo tocchi incomincia a far andare su di giri la moto …!”. Il casco della mia giusta misura incominciò a farmi sudare nonostante il freddo, la cinghietta ben allacciata con la doppia fibbia, chiusa correttamente come da manuale incominciò a trasmettermi la sensazione di strozzamento, una vampata di calore mi assalì pensando che se mi avessero visto mamma e papà, così imbranato, avrebbero potuto bloccarmi la moto presi dalla paura che non la sapessi usare (e forse, anzi certamente avevano ragione!). Ripensai a tutto: staccai la frizione, ingranai la prima e col “soffio di gas” la moto partì dritta con uno scatto in avanti, che mi fece immaginare già la prima impennata: era andata bene! Sul lungomare cambiai rapidamente la seconda, la terza la tenni un po’ più a lungo e sul rettilineo inserii la quarta sul filo dei… 30 km orari: non dovevo esagerare per via del rodaggio. Alla prima curva mi sentii in pista, la moto rispondeva, alla fine del rettilineo scalai con qualche difficoltà in terza, poi in seconda, il motore salì rabbiosamente di giri e buttai giù la moto in piega: quella curva a 90 gradi, percorsa tante volte in scioltezza con bici e monomarcia, mi sembrò la curva di Lesmo a Monza e io mi ci ero buttato con sicurezza: il primo giro procedeva bene! Dopo qualche altro trionfale km, alla ricerca di qualche amico che potesse guardare la moto nuova, arrivò il momento di usare tutti gli strumenti del mezzo uniti alla maestria: freni, frizione, cambio, clacson ecc… perché dovevo girare a sinistra tra le auto parcheggiate in una stradina stretta. Decelerai, alzai il braccio come facevo in bici (all’epoca i cinquantini non avevano gli indicatori di direzione), mi rimisi in posizione e di colpo capii quanti movimenti avrei dovuto fare e quante considerazioni andavano velocissimamente eseguite: Impostare la traiettoria della curva, piegare correttamente, sentire l’aderenza degli pneumatici, dosare i freni (quale di più? L’anteriore manuale o il posteriore a pedale..?), l’acceleratore leggero, la frizione decisa, il cambio senza esitazioni, la gente che attraversa, le auto dietro e di fronte… – “Mio zio non mi aveva detto cosa fare esattamente in quei momenti…”. Insomma cercai d’impostare tutto a modo mio, frenai, scalai le marce, m’inclinai e… GIÙ, CADDI!!! La moto strisciò sull’asfalto e finì la sua corsa sotto la prima auto parcheggiata come sempre male nell’angolo, io scivolai, come quando gli amici ti tolgono la sedia da sotto, seguendo la moto strisciante. Durò tutto solo alcuni attimi: pochi metri strisciando sull’asfalto duro e rugoso, un leggero (per fortuna!) impatto contro l’auto parcheggiata, il pilota a terra per pochi secondi disteso, fermo ma esposto a tutto, le auto che continuavano a passare…! Non appena la scena riprese a scorrere normalmente mi rialzai e corsi verso la moto per verificarne i danni, la gente invece cercò di aiutarmi pensando alle conseguenze dell’impatto. Fortunatamente non successe nulla (a partire dalla moto, pensai lì per lì). I miei jeans grattarono il duro asfalto per pochi metri ma furono da buttare, i guanti solo sporchi ma le mie nocche erano sbucciate, il casco rimasto stabile al suo posto (per fortuna) aveva solo una zona graffiata dall’asfalto nel capitombolo, che fu ricoperta prontamente da un adesivo a perenne ricordo di quell’abrasione che, senza quella cosa gialla in testa e ben allacciata, avrei conservato sulla zucca! Dopo quell’avventura ho girato il mondo in moto ma il pericolo scampato quella mattina mi è sempre rimasto chiarissimo nel cervello e oggi lo racconto in tutti i corsi di sicurezza stradale durante i quali, io e i miei compagni e amici, esperti di educazione stradale, preparati dalla FEDERAZIONE MOTOCICLITICA ITALIANA, eroghiamo ai giovani in procinto di girare sui motorini, che diverranno sempre più grandi e potenti. Grazie alla nostra passione trasferiamo le nostre esperienze, fornendo ai giovani le lezioni teoriche e pratiche ricche di consigli e suggerimenti tipici degli appassionati non solo delle due ruote, ma anche della sicurezza stradale. Questa è la nostra Forza, la nostra Motivazione, il nostro Impegno, in una sigla F.M.I.! Dopo questo emozionante salto nel passato mi preme ringraziare vivamente Enzo Mongelli che, aderendo all’impegno profuso nel servizio dalle associazioni ANSI – Comitato di Bari e alcuni Lions clubs Bari San Nicola, ci ha consentito di portare il messaggio sulla sicurezza stradale in alcune scuole baresi di vario livello. Un altro forte ringraziamento va ai Dirigenti scolastici, ai docenti di tutti gli istituti che hanno aderito al programma, con particolare riferimento alla Presidente ANSI – Comitato di Bari, Palmina Iusco, perché si sono impegnati ad organizzare manifestazioni sul tema, coinvolgendo ragazze e ragazzi di tutte le età frequentanti le varie classi, dalle materne agli istituti superiori. Con linguaggi e temi diversi abbiamo trattato con entusiasmo i temi dell’attraversamento pedonale, i segnali, le condotte su strada in generale, le cinture di sicurezza, i caschi e le protezioni. I ragazzi hanno risposto con grande entusiasmo e certamente porteranno prima nei loro cuori e poi sulle strade i nostri umili ma appassionati consigli. “Un semplice gesto alle volte salva la vita”.
Paolo Gargano
e il gruppo di educatori stradali del Moto Club Bari ASD